Territorio
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Matera - Il Castello di Monte Acuto
Matera In una contrada presso Matera, detta Monte Acuto, c’era un Re che dimorava in un castello situato accanto ad un esteso bosco, dove i cacciatori non osavano entrare. Era un bosco incantato e si raccontavano storie terribili. Ma grazie a queste leggende la selvaggina abbondava. Purtroppo tutti quelli che si erano avventura quel bosco, non avevano più fatto ritorno. Per questo, il Re proibì la caccia in quel luogo. In occasione della visita di un sovrano di un paese vicino, il cuoco del palazzo si recò dal Re, dicendo: “Non abbiamo cibo sufficiente per gli invitati, maestà. Autorizzateci ad andare nel bosco e cacciare uno dei vostri cervi. Starò molto attento”. Il Re, a malincuore, diede il permesso e il cuoco andò... E non vi fu più ritorno di alcuno. Il sovrano inviò un picchetto di soldati in sua ricerca e anche i poveretti non fecero più ritorno, Il bosco pareva un mostro divoratore di uomini. Il Re rafforzò il divieto di caccia nel terribile bosco.
Ma un giorno, giunse a palazzo un vecchio cacciatore.
“Maestà sono il padre di uno dei soldati scomparsi nel bosco. Chiedo i permesso di andare a cercare mio figlio e vedere cos’è successo”. Il Re non riuscì a negarglielo e l’uomo, con i suoi cani, si diresse nella terribile foresta. Gli alberi erano così fitti, che i rami si incrociavano gli un con gli altri. Qualcosa che lo paralizzò dallo spavento: un enorme braccio era uscito dal fango e s’impadronì di uno dei cani, trascinandolo sul fondo. Prudentemente, il cacciatore rientrò a palazzo dove chiese aiuto al Re. “Mi serve una dozzina d’uomini, maestà. Non ci sarà pericolo”. Provvisto di una lunga e acuminata lancia, il vecchio cacciatore tornò n bosco, dove ordinò ai soldati di scandagliare lo stagno. Così fecero e ogni volta che l’enorme braccio usciva dall’acqua, lo feriva con la lunga lancia facendolo scomparire. Qualche ora dopo, un enorme individuo uscì dallo stagno, tenendosi il braccio sollevato. Fu catturato dalla truppa e condotto a palazzo, dove il mostro fu incarcerato nelle segrete. “Non posso ordinare la sua morte”, disse il Re, “perché intuisco in lui qualcosa di magico e straordinario. Forse non è responsabile delle sue azioni e può darsi che sia sotto l’influsso di un maleficio”. A partire da quel giorno, il bosco si trasformò in un paradiso dei cacciatori. E così, trascorsero i mesi finché, una sera, il figlio del Re, un bimbo di dodici anni, molto curioso e vivace, vide la palla, con cui giocava, sparire in un’inferriata al livello del terreno. “Dove si arriva da qui?”, domandò a un soldato. “Nei sotterranei, Principe. Ma non potete scendere laggiù, causa del gigante di ferro. Poco dopo, appena la sentinella si distrasse, il Principino s’insinuò per le scale che conducevano alle segrete. Subito trovò una gabbia nella quale era chiuso prigioniero. “Dammi quella palla!”, ordinò il Principino. “Te la darò se mi apri la porta”. “No, mio padre l’ha proibito e non so nemmeno dove sia la chiave”. “La conserva tua madre nella stanza. Va a prenderla, aprimi e ti ridarò la palla”. Il bimbo non ci pensò due volte. Voleva la sua palla e perciò andò a cercare la chiave e apri la cella del gigante. “Adesso, dammi la mia palla! Ma l’uomo di ferro, senza esitare, afferrò il ragazzo e fuggì portandoselo nel bosco.
Una volta laggiù, si addentrò il più possibile nel folto della macchia, per essere sicuro che nessuno potesse seguirlo.
“Non ti farò del male, perché mi hai liberato, ma non tornerai da tuo padre. Rimarrai sempre con me e nulla di male ti potrà accadere”, disse il gigante, quando furono in salvo. Il piccolo, terribilmente spaventato, non replicò. Il gigante continuò: “Devi sapere che sono il padrone di questo bosco. Posseggo una fonte e uno stagno, le cui acque sono oro liquido. Perciò sono immensamente ricco. Voglio che tu stia molto attento che nulla lo insudici. Il piccolo vigilava meglio che poteva, purtroppo non poté impedire che un ago di pino cadesse nello stagno. Questo scatenò la collera del gigante. “La prossima volta ti scaccerò”. In un’altra occasione, per impedire che una piuma si posasse in acqua, il giovane si chinò tanto che i suoi lunghi capelli si bagnarono nell’oro liquido, diventando dorati. Per non farsi scoprire dal gigante, il ragazzo si coprì il capo con un fazzoletto. Il suo rapitore lo afferrò, gli tolse il fazzoletto e gridò: “Vattene! Non voglio vederti mai più. Poiché ti debbo la libertà, ti concedo un favore. Quando avrai un problema, torna nel bosco e grida: “Rocco”, e io accorrerò in tuo aiuto. Il piccolo, impaurito, fuggì a gambe levate. Attraversò tutto il bosco e giunse all’estremità della foresta che confinava con una città a lui sconosciuta, l’antica Mateola. Dopo qualche tempo, riuscì a prendere servizio come sguattero, in un palazzo. uella sera il Re ordinò che gli fosse servita la cena nei suoi appartamenti e il cuoco inviò il giovane aiutante, non avendo nessun aiuto.
“Quando ti presenti a me, scopriti il capo”, disse il Re. “Perdonate, signore. È perché devo nascondere i miei capelli dorati”. La Principessa, unica figlia del Re, vide per caso i meravigliosi capelli dorati del giovane e per poterli ammirare sempre, ordinò che andasse a accogliere i fiori per lei, tutti i giorni.
E fu così che la Principessa s’innamorò del giovane aiutante di cucina, ignorando che fosse un Principe come lei. Poiché l’amore era reciproco, il giovane dimenticò il suo desiderio di tornare dal padre e volle restare accanto alla Principessa. Qualche tempo dopo, si scatenò una guerra terribile, Il Principe sguattero andò dal generale e domandò un cavallo.
A quei tempi vi era penuria di cavalieri, così la principessa, in gran segreto, ordinò il piccolo cavaliere. Vi fu una grande battaglia, quando il principe, ormai perdente, invocò all’improvviso il nome del mostro: “Rocco. Roccoooo”. Il mostro entrò nella mischia ed impaurì tutto l’esercito nemico, che fuggì per ognidove. Anche il mostro, però, si avvicinò al principe dicendogli: “Ti ho salvato, adesso non hai più bisogno di me”, e scomparve nella foresta.
Il principe, intravide, fra la schiera, il comandante nemico: era il padre. Accorse da lui, fu riconosciuto, e gli concesse una vittoria alla pari. Fu così che il principe e la principessa poterono, di diritto, sposarsi.
FONTE: Consiglio Regionale di Basilicata.
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