Territorio
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Tricarico - Castello
Tricarico L’alta torre cilindrica del centro storico di Tricarico si eleva a più di 27 metri ed tutta coronata di archetti pensili e circondata alla base da scalette adatte ad una pronta difesa e ad un isolamento più pronto e più rapido. Essa doveva far parte di un complesso fortificato vero e proprio.
Questa torre, la prima che si presenta allo sguardo di chi viene in Tricarico, si staglia su di una roccia isolata.
Circa le origini qualcuno la vuole costruita dai Tarantini; altri –ed è l’opinione più accreditata– l’attribuiscono a Roberto il Guiscardo, che, fin dal suo ingresso in Tricarico (dopo la vittoria sui Bizantini che l’occupavano) realizzò molte opere pubbliche.
Probabilmente il Guiscardo trovò già un complesso di fortificazioni ed un castello costruito dai Musulmani: infatti il castello era famoso per i suoi magici giardini con fiori di ogni specie, alberi da frutta e piscine con zampilli d’acqua.
Verso il 980, infatti, vennero in Tricarico i Saraceni; entrarono dalla parte bassa del paese, che non era difesa dalle mura di cinta, come gli altri rioni. Poichè era loro intenzione fermarsi, pensarono subito a costruire, in quei luoghi dove mancava, mura e fortilizi.
Iniziarono così a sorgere quelle che ancora oggi sono chiamate porta e torre "Rabatana".
Si dice che per la costruzione furono costretti a lavorare i cittadini stessi di Tricarico, i quali erano trattati del tutto come schiavi; si racconta, inoltre, che durante i lavori i Saraceni, che si erano già bene annidati nel castello di Pietrapertosa, assalivano le popolazioni dei centri vicini, catturavano gli umini validi e ne assegnavano trenta al giorno per la costruzione delle nuova mura, mentre le donne venivano violentate dopo grandi e fastosi pranzi; ogni sera, quindi, Tricarico si presentava, ai pellegrini diretti a Matera e Bari, come luogo di perdizione pagano.
Una leggenda racconta che lì visse, sognò e mori la bionda Mabiha, che, uscita dalla turrita Ceccano, era venuta, intorno al 1157, sposa al conte Giacomo Sanseverino.
Dalla valle del Sacco, con un seguito di cavalieri e di armati, per quindici giorni cavalcò da San Germano (Montecassino) a Napoli e a Potenza, e seguendo l’Appia, per il passo appenninico del Marmo, era giunta a Tricarico.
Qui ascoltava le canzoni degli zingari e dei viandanti, che ricordavano la patria lontana. Né tornò più alla sua Ceccano tutta assorta nei pensieri del marito ghibellino, morto in una imprecisata battaglia contro i Bizantini sul Basento.
FONTE: Consiglio Regionale di Basilicata.
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